CENNI STORICI DEL RIONE BORGO

di Laura Gigli

Vaticano è il nome con il quale gli antichi designavano tutta la zona sulla riva destra del Tevere compresa fra ponte Milvio e l’odierno ponte Sisto, distinguendo l’ager dai montes, cioè le colline che da Monte Mario circondano i Prati di Castello, Borgo e la basilica di San Pietro e arrivavano fino al Gianicolo settentrionale. Il nome si estendeva probabilmente anche al versante nord ovest delle colline, ove lo scavo continuo di argilla per fabbricare laterizi e stoviglie, protrattosi lungamente nel tempo, determinò la formazione delle valli dell’Inferno, del Gelsomino, delle Fornaci, della Balduina, che oggi costituiscono la linea di divisione fra Vaticano, Monte Mario, Gianicolo e quartiere Trionfale.

L’origine del nome Vaticano è incerta: secondo Aulo Gellio deriva da vaticinis, le profezie ispirate dal dio che presiedeva l’agro, mentre secondo Varrone l’appellativo Vaticano è il titolo di una divinità propizia agli esordi della voce umana, ed il suo nome deriva dalla prima sillaba, o primo suono emesso dai neonati.
Altri storici ritennero invece l’aggettivo vaticano derivato da Vaticum, cioè il nome primitivo del pagus posto sulla riva destra del Tevere, di fronte al Campo Marzio.

Quando questa zona era ancora sommersa dal mare, nel periodo pleistocenico, il fondo era costituito da uno strato di argille a marne azzurre, dette anche vaticane, con qualche intrusione di sabbia gialla e poi di ghiaia, proveniente dalle pendici dei monti sub appenninici. In seguito ad un grande cataclisma vulcanico che provocò la fatturazione della crosta terrestre, gli strati della zona in esame si sollevarono di circa 130 metri formando i colli Gianicolo, Vaticano e Monte Mario, sui quali si depositarono poi tufi eruttati dai vulcani Sabatini e pozzolana, che fu subito asportata dalle piogge. Nella pianura, invece, le acque che scendevano dalle colline formando paludi avevano asportato quasi ovunque gli strati superiori, sostituiti da depositi palustri e alluvionali ai quali si sovrapposero, molto più tardi, materiali di scarico, macerie e humus agricolo, ma la regione rimase sempre paludosa fino ad epoca storica.
Questo territorio appartenne anticamente agli Etruschi e, secondo Festo, era diviso da quello dei Romani dal Tevere.

L’etrusco ager vaticanus fu conquistato dai Romani forse prima ancora della caduta di Fidene (426) e di Veio (396); secondo alcuni scrittori fu annesso a Roma ad opera della Gens Romilia, della tribù dei Ramnes, dimoranti sulla sponda destra del fiume, un ramo dei quali portava il nome di Vaticani. 
La zona, esclusa dalla cinta fortificata di Servio Tullio, in età repubblicana era scarsamente abitata e coltivata ad orti e vigne perché era ricca di corsi d’acqua, ma le ripetute piene del fiume la resero acquitrinosa e malarica. Anche i prodotti della terra erano scadenti, come ricorda Marziale a proposito del vino prodotto nella zona: se ti piace l’aceto, bevi i vini vaticani. Inoltre la zona era infestata da grossi serpenti.

Anticamente l’ager vaticanus era attraversato da due strade: la Trionfale e la Cornelia, il cui percorso non è stato ricostruito con assoluta certezza. La prima, che conserva nel nome il ricordo dei trionfi riservati a Romolo e Servio Tullio, o a Camillo dopo la conquista di Veio, proveniva dal Tarentum (Campo Marzio), attraversava il ponte Neroniano e si dirigeva a nord, risalendo Monte Mario, per immettersi poi nella Cassia.
La seconda strada, di età repubblicana, da ponte Milvio, costeggiando la sponda destra del Tevere, giungeva al mausoleo di Adriano e proseguiva verso ovest incrociando la Trionfale; questa strada fu fiancheggiata ad un certo momento da un portico che man mano andò in rovina per scomparire completamente nel XII- XIII secolo.

Esisteva inoltre l’Aurelia nova, che correva a sud ovest della Cornelia e probabilmente si dirigeva verso San Pietro con un percorso non precisato.
Lungo queste arterie si trovavano imponenti monumenti funebri, come la piramide e il terebinto, e numerose tombe pagane, molte delle quali rinvenute durante i lavori per la costruzione del nuovo San Pietro.
La zona agli inizi dell’impero era ancora sistemata prevalentemente ad orti e giardini: si ricordano in particolare quelli di Agrippina e quelli di Domizia.
I primi, di Agrippina maggiore, moglie di Germanico, alla sua morte (33 d.C.) furono ereditati dal figlio Caligola, poi da Claudio e da Nerone; si estendevano fra la via Cornelia ed il fiume ed erano stati ricavati dalla bonifica del terreno acquitrinoso. Qui Nerone durante l’incendio della città del 64 ospitò molti plebei rimasti senza tetto, mentre molti altri, cristiani fece qui martirizzare addossando loro la colpa di avere incendiato la città per stornare da sé la stessa terribile accusa. Tra questi martiri, secondo la tradizione, trovò la morte, crocifisso, lo stesso San Pietro, il principe degli apostoli. Sulla sua tomba, accanto al palazzo di Nerone nel Vaticano, vicinissima al luogo del martirio, attorno al quale si fecero seppellire molti dei primi pontefici, Costantino costruì la grande basilica che determinò tutto lo sviluppo successivo della zona.

I giardini di Domizia, zia paterna di Nerone, si estendevano invece a nord e a ovest del fiume, fino all’odierno palazzo di Giustizia e sono ricordati fino al IV secolo nei cataloghi regionari. Sulle pendici dei monti vaticani sorgevano inoltre le ville di privati cittadini.
Nel Vaticano, assegnato da Augusto alla XIV regione Transtyberim, durante l’impero i più importanti monumenti esistenti erano: il circo, la naumachia, il Gaianum, e il mausoleo di Adriano.
Il circo era stato iniziato da Caligola e completato nei giardini di Agrippina in un’insenatura del terreno, subito a sud dell’area poi occupata dalla basilica e nella spina aveva eretto un grande obelisco proveniente da Alessandria in Egitto, spostato nel 1586 per ordine di Sisto V nella piazza antistante San Pietro.

Non lontano dal circo si trovavano un luogo di culto in onore della dea frigia Cibele, ancora esistente nel IV secolo, il tempio di Apollo e quello in onore di Serapide, Iside, Osiride.
La naumachia, il cui ricordo si mantenne a lungo nel Medio Evo, era stata eretta da Traiano o Domiziano per giochi navali ed era collegata con il fiume con un canale scoperto.
Al limitare degli orti di Domizia, sulle sponde del Tevere, Adriano fece costruire il ponte Elio e la sua tomba monumentale, nella quale fu sepolto dopo la morte (10 luglio 138). L’imponente edificio subì una prima, significativa trasformazione ad opera dell’imperatore Aureliano che, collegandolo strettamente al ponte Elio, ne fece il principale baluardo del sistema difensivo della zona del Vaticano ed una testa di ponte che avrebbe costituito una grave minaccia per il nemico che avesse assediato Roma.
Il mausoleo fu l’ultimo grande monumento pagano costruito nell’ager vaticanus.
 
Bisognò aspettare altri duecento anni prima che un altro imperatore, Costantino, costruisse un nuovo grande monumento, questa volta cristiano, la basilica di San Pietro, che fu la conseguenza di un grande evento: l’editto di Milano del 313 che, concedendo libertà di culto ai cittadini dell’impero, impresse alla storia un nuovo corso.
Ad esso si aggiunse la fondazione di una nuova capitale a Bisanzio che spostò il centro del potere civile verso Oriente, lasciando campo libero a Roma all’affermazione della Chiesa. Questa, uscita dalla clandestinità e in mancanza di un potere politico che sempre più trascurava la città, subentrò lentamente con i suoi organismi agli apparati amministrativi e civili, modificandoli a seconda delle nuove esigenze dell’Urbe che da più di un milione di abitanti della Roma classica era scesa rapidamente a diecimila, quanti ne contava subito dopo il Sacco di Alarico (410).

Il primo magnifico frutto di questa svolta in Borgo fu proprio la costruzione della basilica di San Pietro, che condizionò tutto il successivo sviluppo edilizio dell’ager vaticanus facendo di questa piccola zona ai margini della città, al di fuori delle mura, la più importante di Roma ed il polo di attrazione di folle sempre più numerose di pellegrini venuti da ogni parte del mondo a venerare la tomba del principe degli apostoli.

Al servizio della basilica furono fondati, in vari momenti, quattro monasteri  con le relative chiese. Il più antico, quello dei Ss. Giovanni e Paolo fu eretto da Leone I sul lato nord dell’attuale chiesa, al fondo del transetto e scomparve durante la ricostruzione di San Pietro.
Il secondo era il monastero di San Martino, che esisteva già nel 680 sul lato nord della chiesa antica, fra il muro ovest del transetto e la curva dell’abside; fu demolito sotto Nicolò V.

Il terzo monastero, di Santo Stefano maggiore era ubicato in corrispondenza dell’odierna Santo Stefano degli Abissini.
L’ultimo: Santo Stefano minore, o de agulia, fu fondato da Stefano II (752-757). Fu poi degli ungheresi perché il primo re cristiano d’Ungheria, Stefano, vi fondò un ospizio per i suoi sudditi; fu demolito per far posto alla sacrestia di San Pietro.

Borgo subì, come il resto della città, gravissimi danni a causa delle invasioni dei barbari, che determinarono profonde trasformazioni urbanistiche.
Nel 547 il re goto Totila dopo essere entrato a Roma, dovendo proseguire la sua spedizione militare nel meridione, lasciò a presidio della città dall’imminente attacco di Belisario una piccola guarnigione, insufficiente per schierarsi lungo tutto il perimetro delle mura Aureliane. Decise pertanto di restringere la difesa soltanto a Castel Sant’Angelo, da dove sperava di dominare Roma, e ad un piccolo tratto di terreno fra la mole Adriana e la basilica vaticana, terreno circondato e difeso da un muro che appoggiava le due estremità allo stesso castello.

Poiché il Vaticano era diventato nel frattempo meta di pellegrini provenienti da ogni parte d’Europa per venerare la tomba dell’Apostolo Pietro, intorno alla basilica cominciarono a sorgere, oltre ai monasteri, xenodochia, botteghe e servizi veri, che determinarono un primo notevole incremento edilizio e, a partire dall’VIII secolo, le scholae peregrinorum, colonie di stranieri che si riunivano a seconda della nazionalità e costruivano le loro case, ospizi per i pellegrini delle loro contrade e persino i loro cimiteri. 
La più antica di queste scholae  era quella degli Angli o Sassoni, fondata nel 727 da Ina, re del Wessex dopo un pellegrinaggio a Roma. L’istituzione fu ampliata da re Offa, che costruì uno xenodochio, divenuto nel secolo XII l’ospedale di Santo Spirito, e l’annessa chiesa di Santa Maria in Sassia.
Tutto il borgo dei Sassoni, compreso tra il Circo Neroniano ed il Tevere, fu gravemente danneggiato da un furioso incendio divampato sotto Pasquale I (817-824), che distrusse la chiesa e le abitazioni.

La schola dei Longobardi era stata fondata da Ansa, moglie del re Desiderio, prima del 774 e si incentrava intorno alla chiesa di san Giustino, che stava nei pressi della ruga Francigena in corrispondenza dell’odierno cortile di san Damaso; danneggiata dall’incendio che devastò Borgo al tempo di Leone IV, scomparve agli inizi del secolo XV.

La schola dei Franchi risalente alla metà dell’VIII secolo quando si fecero più stretti i legami fra il papato ed il re Pipino, o fondata da Carlo Magno in occasione della sua seconda venuta a Roma (797) aveva il suo centro nella chiesa di San Salvatore in Terrione, ancora in parte esistente presso l’odierna porta Cavalleggeri; decadde dopo il 1300.

La schola dei Frisoni (olandesi) fondata da San Bonifacio durante uno dei suoi pellegrinaggi (754) aveva il suo centro nella chiesa di San Michele (odierna Ss. Michele e Magno), sull’alto della collina di Borgo Santo Spirito.
Dopo il Mille si insediarono in Borgo anche la schola degli Ungheresi (nelle vicinanze dell’obelisco); quella degli Armeni (1202) e quella degli Abissini, fondata ai tempi di Alessandro III.

Oltre alle scholae nel Borgo sorsero le diaconie che, per assolvere la loro funzione di distribuzione dei viveri ai poveri e della loro assistenza avevano bisogno di magazzini per le derrate, stanze per gli addetti al funzionamento della struttura, di bagni e di una cappella che fu poi sostituita da una chiesa vera e propria.

La più antica menzione delle diaconie si trova nella biografia di Benedetto II (684-685). All’epoca di Leone III (795-815) a Roma ne esistevano 24, di cui 5 in Borgo: quella dei Ss. Sergio e Bacco, di S. Maria in Traspontina, di S. Maria in caput portici, di S. Silvestro e di S. Martino. Queste diaconie sorte tutte intorno alla basilica vaticana, erano destinate ad aiutare non solo i poveri del rione, ma anche i pellegrini di nazionalità diversa da quelli che ricevevano aiuto nelle scholae, cioè italiani, spagnoli, slavi, greci ecc.
Tutta questa moltitudine di persone accresceva il fabbisogno d’acqua nell’area vaticana. Adriano I fece pertanto restaurare nuovamente l’acquedotto di Traiano venti anni dopo (776) l’assedio di Roma da parte del re longobardo Astolfo, che, come Vitige aveva tagliato tutti gli acquedotti. Sul fianco destro del transetto della basilica vaticana Carlo Magno nel 781, durante un soggiorno romano, fece trasformare la diaconia dei Ss. Sergio e Bacco in residenza sua e della sua corte e vi abitò durante l’inverno dell’anno 800 quando fu incoronato imperatore. Il palazzo con il passare dei secoli, diminuito il potere degli imperatori su Roma e sul papato, perdette la sua importanza e fu demolito per la costruzione del fianco nord del transetto del nuovo san Pietro.

Carlo Magno e Leone III in pieno accordo tra loro decisero inoltre di erigere un muro di difesa a protezione della basilica e della residenza dall’incombente pericolo dei Saraceni che con improvvise scorrerie devastavano e saccheggiavano le coste dell’Italia meridionale.
Alla morte del papa (816) i romani nel corso di una violenta ribellione abbatterono quelle mura, ma furono poi costretti, in seguito alla terribile invasione saracena del 26 agosto 846 che devastò la basilica, il palazzo imperiale, le scholae e gli edifici annessi, a costruirle nuovamente.
Questi lavori, iniziati da Leone IV nell’848, terminarono nell’852 allorché il 27 giugno di quell’anno le mura furono consacrate nel corso di una solenne processione guidata dal papa, alla quale parteciparono tutto il clero e il popolo romano.

Queste mura delimitarono e difesero quella parte di Borgo che da quel momento ebbe il nome di Civitas Leonina. Iniziavano da Castel sant’Angelo, proseguivano verso la parte destra della basilica e aggirandola, arrivavano alla sommità della collina e ridiscendevano verso l’odierna porta Cavalleggeri per proseguire fino alla posterula di Santo Spirito e al Tevere.
Nel Medio Evo l’antico sistema viario della regione vaticana era stato modificato in seguito alla costruzione di san Pietro, il sorgere di tante varie istituzioni, la rovina del ponte Neroniano, che aveva lasciato soltanto l’Elio a permettere una diretta comunicazione tra la città e le basilica, ed infine al fondazione della città Leonina.

La strada che veniva dal nord era ancora grosso modo, l’antica Trionfale, ora chiamata rua Francigena. Scendeva da Monte Mario e, dopo essersi congiunta con la via proveniente da ponte Milvio, attraversava il “fosso della sposata” (all’incrocio fra le odierne via Leone IV e via Candia) con un ponticello dove i re che venivano a Roma a farsi incoronare imperatori dal papa giuravano ai dignitari ecclesiastici ed ai rappresentanti del popolo romano: Io re, futuro imperatore, giuro che lascerò ai Romani le loro buone consuetudini.

Un po’ più avanti la strada si biforcava mentre un ramo, percorso dai re, piegava a sinistra raggiungendo l’antica posterula di sant’Angelo, nelle immediate vicinanze del Castello, l’altro proseguiva diritto passando davanti alle chiese di San Pellegrino e di sant’Egidio e attraverso la porta Viridaria, detta anche di san Pietro, dopo breve tratto giungeva ai piedi della basilica costantiniana. Altre due strade minori raggiungevano; una la posterula di Santo Spirito e l’altra la zona dell’attuale via delle Fornaci. C’erano inoltre due strade che da est (Castel Sant’Angelo) andavano verso ovest (San Pietro): Borgo Santo Spirito, più vicina al fiume, esistente fin dall’epoca della schola Saxonum, raddrizzata e mattonata da Sisto IV (1471-84) e, più a nord, la “portica”, una via porticata, forse di origine tardo imperiale, la Porticus maior, che iniziava e terminava con un arco. Secondo alcuni studiosi questa strada correva in mezzo all’attuale via della Conciliazione, tra i distrutti Borgo Vecchio e Borgo Nuovo, cioè sotto la demolita spina.

Il Lanciani nella sua pianta di Roma identifica la portica con la via Cornelia, che chiama anche via Sacra. Altri pensano, invece, che questo porticato si snodasse lungo l’antica strada della Carreria Sancta, perché si credeva che fosse stata la via percorsa dai cristiani che subirono il martirio sotto Nerone e che questa fosse la strada, poi detta Borgo Vecchio che nel Medio Evo percorrevano i cortei papali quando i pontefici si recavano dal Laterano a San Pietro. Lungo questa arteria che seguiva probabilmente il tracciato dell’antica Cornelia, erano state edificate alcune piccole cappelle i cui altari, quando il porticato andò in rovina, furono portati nella vecchia Santa Maria in Traspontina;

La strada fu oggetto di attente cure da parte dei papi: Adriano I (772-795) la fece ampliare e riparò il portico ripristinandolo fino ai gradini della basilica di San Pietro.
Pasquale I (817-824) e Leone IV (847-855) la restaurarono dopo che i due gravi incendi sopra ricordati l’avevano devastata. Altri restauri furono effettuati da Innocenzo II (1130-1143) che la fece ricoprire con nuove tegole.

Successivamente con il termine porticus non si indicò più soltanto questa strada precisa, ma tutta l’area della città Leonina.
Non si sa quando l’antico porticato sia andato distrutto, ma è probabile che il suo deperimento si accentuasse durante il periodo avignonese e che al loro ritorno a Roma i papi non intervennero per ripristinarla perché non sfuggivano loro i rischi di una strada che avrebbe offerto riparo ad eventuali nemici che intendessero assaltare il Castello.

Più a nord della portica, separata da quella lunga e stretta striscia di case nota col nome di Spina, correva parallela un’altra via dal tracciato antico incerto e tortuoso, fiancheggiata da poche abitazioni, sbarrata ad un terzo del suo precorso, vicino al castello, dalla Meta Romuli demolita da Alessandro VI quando rettificò ed ampliò la strada chiamata dal suo nome via Alessandrina e poi Borgo Nuovo. Nella pianta del Lanciani è detta anche via Sancta.
 
Il giorno della sua inaugurazione, il 24 dicembre 1499, per indurre i cardinali e tutti i cittadini a percorrere la nuova arteria fu chiuso al traffico Borgo Vecchio, come viene ricordato da Giovanni Burckhard.
Infine una quarta strada costeggiava il muro di Leone IV detto il passetto; fu sistemata ammattonata anch’essa da Sisto IV e chiamata per breve tempo Sistina e in seguito Borgo Sant’Angelo, dalla chiesa di San Michele Arcangelo dei Corridori, che sorgeva contigua al muro di cinta. 
Agli inizi del X secolo con lo sgretolamento dell’impero carolingio posteriormente alla morte di Carlo il Grosso (888) anche il potere pontificio diminuì nella città, che divenne teatro di lotte accanite fra le famiglie nobili che cercavano di ottenere il governo di Roma.

In questo complicato periodo della storia della città particolare rilievo assunse il possesso di Castel Sant’Angelo, perché divenne presto evidente che la famiglia che aveva in mano la fortezza deteneva anche il potere su Roma. Fu proprio per questo periodo che, nonostante ci fossero stati vari tentativi di trasferire in Borgo, reso sicuro dalle mura innalzate da Leone IV e dalla stessa fortezza, la residenza papale dapprima con Eugenio III (+1153), che costruì non lontano dalla basilica un palatium novum, poi con Innocenzo III (+1216), che fece costruire molti edifici per la Curia, solo Niccolò III (1277-1280) della nobile e potente famiglia Orsini, all’epoca in possesso di Castel Sant’Angelo, iniziò l’attuazione del programma sopra accennato con la costruzione di un palazzo esistente ancora oggi che collegò con Castello costruendo sul muro di cinta di Borgo il celebre Passetto, che avrebbe consentito al pontefice di rifugiarvisi in caso di improvviso pericolo.

Ma nel suo breve pontificato Nicolò III non poté realizzare quanto lui stesso ed i suoi predecessori avevano programmato, né ciò fu possibile ai suoi immediati successori.

In seguito l’esilio dei papi ad Avignone, protrattosi per 75 anni, segnò uno dei momenti più tristi e di più grande decadenza in ogni settore della vita civile e religiosa di Roma; basti pensare che nemmeno per l’anno santo del 1350 il papa Clemente VI venne a Roma ma inviò in sua vece un cattivo legato, il cardinale Annibaldi di Ceccano, che l’Anonimo autore della Vita di Cola di Rienzo definiva con pungente ironia: “pomposo e pieno di vanagloria” e “delli buoni bevitori che avessi la chiesa di Dio”.
Con il suo comportamento il prelato suscitò una rivolta degli abitanti di Borgo, a stento sedata dal Commendatore di Santo Spirito, e addirittura alcuni balestrieri appostati presso San Lorenzo “delli pesci” in Borgo Santo Spirito attentarono alla sua vita.

L’episodio ebbe certo delle ripercussioni anche ad Avignone, dove appariva chiara la necessità di una totale ristrutturazione della cittadella di Borgo, di cui si coglie eco nelle Revelationes celestes di santa Brigida, che, certo suggestionata dai discorsi e dalle discussioni sull’argomento, immaginava l’esistenza di un’unica pianura fra San Pietro, Castel sant’Angelo e Santo Spirito circondata da un muro fortissimo: “Ho visto in Roma dal palazzo pontificio presso San Pietro fino a Castel Sant’Angelo, e dal Castello fino all’edificio di S. Spirito e fino alla chiesa di San Pietro come se fosse tutta una pianura, circondata da un muro solidissimo attorno al quale c’erano varie abitazioni. Allora udii una voce che diceva: quel papa che ama la sua sposa con lo stesso affetto con cui l’abbiamo amata io ed i miei amici possederò questo luogo con i suoi funzionari affinché possa qui riunire i suoi consiglieri più liberamente e con maggiore tranquillità”.

Oltre a Santa Brigida, si ricorda anche l’opera di Santa Caterina da Siena, di Petrarca e di Cola di Rienzo volta a favorire il ritorno dei papi a Roma. Urbano V (1362-1370) pose come condizione per questo rientro che alla Chiesa fosse consegnato Castel Sant’Angelo, ma Gregorio XI, tornato finalmente in città il 13 marzo 1377, moriva dopo appena 13 mesi senza avere avuto il tempo di avviare la sistemazione dell’area vaticana.
Il periodo successivo, che va dal pontificato di Urbano VI (1378-1389) a quello di Gregorio XII (1409-1415) coincidente con lo scisma d’Occidente, vide Borgo devastato da una serie di accaniti scontri tra varie fazioni che si contendevano il dominio della città ed in particolare di Castel Sant’Angelo, come l’invasione (1409) di re Ladislao di Napoli alleato dei romani contro Innocenzo VII appoggiato agli Orsini, allorché venne devastato l’ospedale di Santo Spirito e la chiesa profanata.

L’avvento al soglio pontificio di Martino V (Oddone Colonna, 1417-1431) metteva fine allo scisma e poneva la premessa per la rinascita del rione, le cui case, come risulta in una supplica del 1437 dei Canonici di San Pietro a Eugenio IV (1431-1447) erano quasi tutte abbandonate e in rovina ed i pellegrini e i romani non si recavano più a visitare la basilica “a causa della distruzione delle case e per lo sconvolgimento delle strade”.
Per favorire il riassetto edilizio di Borgo ed il suo ripopolamento il papa concesse con bolla del 21 agosto 1437 l’esonero fiscale per 25 anni a chi avesse costruito nella zona.

Questa bolla segnò l’avvio di una nuova fase urbanistica del rione, che trovò la sua prima complessa formulazione teorica nel piano di Nicolò V (1445-1455) ideato da Leon Battista Alberti ed a noi noto nella descrizione del suo biografo Giannozzo Manetti.
Il piano prevedeva la trasformazione di Borgo in una vera e propria cittadella curiale, cinta da altissime mura, che avrebbero protetto la basilica ed i palazzi vaticani appoggiandosi alla fortezza di Castel Sant’Angelo; all’interno, distrutto il vecchio Borgo, si sarebbero dovuti ricostruire i palazzi ai lati di tre grandi strade porticate che avrebbero collegato le due piazze davanti al Castello e davanti alla basilica, della quale fu deciso il rifacimento.

Il Borgo doveva inoltre essere popolato non soltanto dai curiali, ma anche da mercanti e artigiani.
L’imponente ed articolato piano pur ispirato per un verso alla tradizione medioevale, ricollegandosi alle visioni di Santa Brigida e rientrante per l’altro nella teorizzazione della “città ideale” propria della cultura di metà ‘400, fu realizzato solo in minima parte sia per quanto riguardava il Castello, sia per quanto riguardava la basilica, della quale fu iniziata soltanto la ricostruzione dell’abside; furono anche aperte altre due porte, la Fabbrica e quella di Terrione nel recinto delle mura, mentre le strade, le piazze, le vecchie case di Borgo a causa della morte prematura del papa non vennero toccate.
Ma l’epoca d’oro delle realizzazioni edilizie ed urbanistiche con le quali Borgo, abbandonate le vesti dimesse del Medio Evo, indossò quelle eleganti e maestose del Rinascimento, iniziò con Sisto IV (1471-1484) il quale, oltre ad accomodare Borgo Sant’Angelo e Borgo Santo Spirito, ricostruì dalle fondamenta l’ospedale di Santo Spirito ed emanò, il 1° gennaio 1474 una bolla, con al quale concesse molti benefici a coloro che avessero costruito nuovi edifici alti almeno 7 canne (circa 15 metri).

La volontà del papa fu subito assecondata da suo nipote, il cardinale Domenico della Rovere, che in Borgo Vecchio innalzò il suo palazzo, d’ora detto dei Penitenzieri, negli ultimi due decenni del Quattrocento, ed anche, poco dopo, da Giovanni Antonio da San Giorgio, detto il cardinale Alessandrino, che iniziò la costruzione della sua residenza (ora Collegio Santa Monica dei Padri Agostiniani, dietro il colonnato di sinistra.
Anche il pontificato dello spagnolo Alessandro VI (1492-1503) fu determinante per l’urbanistica di Borgo. Il papa si occupò ampiamente di Castel Sant’Angelo e, in previsione del giubileo del 1500, fece aprire, come già ricordato, la via Alessandrina, che fu allargata e raddrizzata in nove mesi di intensi lavori sotto la soprintendenza del cardinale Domenico Riario, per creare un ampio e comodo rettifilo che consentisse di arrivare agevolmente ai palazzi vaticani, demolendo l’imponente piramide di Borgo. La strada rimase però in terra battuta (fu selciata solo prima del 1509 da Giulio II) per farvi passare le gare e le corse di uomini, cavalli, bufali ed asini, delle quali il papa era grandemente appassionato.

Queste corse partivano da Campo dei Fiori, continuavano per via del Pellegrino e via dei Banchi Vecchi (passando davanti al palazzo del papa), via Celsa (Banco di Santo Spirito), imboccavano ponte Sant’Angelo, giravano sotto la porta di San Pietro all’Adrianeo, proseguivano per via Alessandrina e si concludevano a piazza San Pietro, dove il 2 gennaio 1502 fu fatta persino una corrida.

L’aver spostato l’arrivo delle corse a piazza San Pietro ebbe una notevole importanza dal punto di vista sociale, perché contribuì a mutare, agli occhi dei romani, l’aspetto dell’austera cittadella di Borgo, che venne aperta a feste e divertimenti, più tardi aboliti da Pio IV (1566-1572).
Portato a termine l’ampliamento della strada, il papa emanò nel 1500 una bolla con la quale concedeva, come già avevano fatto i suoi predecessori Eugenio IV e Sisto IV, ai costruttori ed agli acquirenti di nuove abitazioni da edificare lungo la nuova strada esenzioni fiscali e privilegi. Il primo ad usufruire dei benefici concessi ed accogliere l’invito del papa fu il cardinale Adriano Castellesi da Corneto, amico di Alessandro VI, che poco dopo il 1500 fece edificare il palazzo (oggi Torlonia) che ancora si ammira in via della Conciliazione; subito dopo vennero costruiti quello del protonotario Adriano Caprini (poi dei Convertendi) ad opera del Bramante, quello del cardinale Francesco Armellini e quello del curiale Giovan Battista Branconi dell’Aquila su disegno di Raffaello, il quale progettò negli anni 1516-1520 anche il palazzetto del medico pontificio Giacomo da Brescia.

Sempre nel primo ‘500 furono costruite nuove chiese, come Santa Caterina delle Cavallerotte di Giuliano da Sangallo e vari altri importanti palazzi. Gli Alicorni infatti fecero edificare da Giovanni Mangone in Borgo Vecchio le loro residenze e Lorenzo Pucci, cardianle dei Santi Quattro, si costruiva un palazzo che poi divenne la sede del Santo Uffizio. Accanto a queste insigni dimore ne sorgevano anche altre più piccole, ma di raffinata eleganza, con facciate graffite e dipinte da insigni artisti dell’epoca, oggi quasi tutte scomparse.

Intanto Giulio II riprendendo l’idea di Niccolò V aveva deciso la totale ricostruzione della basilica di San Pietro. I lavori iniziarono il 18 aprile 1506 e si protrassero per oltre un secolo; il nuovo tempio fu terminato nel 1614 e consacrato il 18 novembre 1626.

Borgo subì gravissimi danni per il sacco di Roma del 1527. Già alcuni mesi prima, il 20 settembre 1526, la città Leonina era stata devastata dalle truppe di Pompeo Colonna e Ugo Moncada in lotta contro Clemente VII che si rifugiò una prima volta a Castel Sant’Angelo, ma all’alba del 6 maggio dell’anno successivo, favoriti da una fitta nebbia, i soldati di Carlo V guidati dal connestabile Carlo di Borbone irruppero nel rione superando le mura nel tratto compreso tra porta Santo Spirito e le porte Terrione (poi detta Cavalleggeri) e Pertusa per dilagare in tutta la città, devastando e saccheggiando chiese e case e trucidando inermi cittadini. Fra gli altri persero la vita in un vano tentativo di resistenza gli alunni del Collegio Capranica sugli spalti delle mura, il capitano della Guardia Svizzera Gaspare Roist con i suoi duecento uomini appostati vicino all’obelisco vaticano; il capitano Giulio da Ferrara con i suoi soldati rimasti uccisi mentre cercavano di contrastare agli invasori l’avanzata nelle vie di Borgo. Nell’ospedale di Santo Spirito furono trucidati tutti i bambini, “buttati li infermi nel Tevere, profanate et violate tutte le monache, amazato tutti i frati” (Cosimo Tornabuoni, precettore dell’ospedale, in una lettera a Baldassar Castiglione).

Clemente VII riuscì a salvarsi servendosi del passetto per rifugiarsi a Castel Sant’Angelo ove fu assediato per 7 mesi fino a quando, il 6 dicembre di quello stesso anno fu costretto ad arrendersi. 
Tuttavia dopo questa immane tragedia Borgo si riprese abbastanza rapidamente e si continuò a costruire: Antonio da Sangallo il Giovane edificò in via Alessandrina per Iacopo Bernardini Ferrari un palazzo divenuto poi sede del Bargello e delle prigioni e le chiese di San Giacomo a Scossacavalli e il nuovo Santo Spirito.

Contemporaneamente i papi nel timore di una possibile invasione dei Turchi che, sotto la guida del famoso Barbarossa Khajr al Din, sultano di Algeri, nel 1534 avevano devastato le coste tirreniche ed erano giunti alla foce del Tevere, decisero di provvedere ad un rafforzamento di tutte le mura della città, che dovevano essere rese idonee a resistere all’urto delle nuove armi da fuoco; l’incarico fu affidato nel 1538 ad Antonio da Sangallo, ma ben presto i lavori, che comportavano spese enormi, furono limitati alla sola cinta di Borgo. L’architetto in una dieta che ebbe luogo il 15 febbraio 1545, alla quale parteciparono anche Jacopo Meleghino, Giovanni Francesco da Montemelino e Michelangelo, sostenne vigorosamente il suo progetto di fortificare le alture ad occidente di San Pietro per impedire la postazione nell’alto di artiglierie nemiche, che potevano devastare il Borgo, progetto che, per quanto ostacolato dal Montemelino, che riteneva sufficiente la fortificazione della pianura, dopo la morte del Sangallo fu sostanzialmente continuato, più o meno come questi lo aveva pensato, da coloro che lo seguirono nell’incarico.

I lavori iniziarono dalla porta Santo Spirito, nel tratto delle mura che era stato superato dai Lanzichenecchi. Il 18 aprile 1543 fu posta la prima pietra del nuovo baluardo; nel 1545 i lavori, a causa di violenti contrasti sorti tra l’architetto e Michelangelo, sostenitore di un diverso sistema di fortificazione, subirono un progressivo rallentamento tanto che alla morte di Antonio (1546) anche la porta era rimasta incompleta.
Al Sangallo subentrò Jacopo Meleghino al quale nel marzo 1548 si affiancò, in qualità di soprastante, Jacopo Fusti detto il Castriotto, che proseguì la linea difensiva sulla vetta dei colli.

Alla morte di Paolo III (1549), ultimato, sembra, il bastione del belvedere (forse con architettura di Michelangelo) sul quale fu apposta l’arma del Farnese e la data 1542 (corrispondente all’ottavo anno del suo pontificato), i lavori furono sospesi per diversi anni.
Con breve del 22 gennaio 1550 Giulio III aveva istituito la carica di Governatore di Borgo, che conferiva al nipote, Ascanio della Cornia, con poteri analoghi a quelli che il governatore di Roma aveva sulla città. Il magistrato, che disponeva di un piccolo corpo di guardia sotto il comando di un bargello per mantenere l’ordine, e di un tribunale con annesse carceri (che ebbe sede nel palazzo di I.B. Ferrari), estendeva la sua giurisdizione su Borgo e Trastevere, fino a porta Settimiana; l’importante carica, assai onorifica, fu di pertinenza quasi esclusivamente dei familiari dei pontefici; fu abolita nel 1667 da Clemente IX.
 
Nel 1562 Pio IV, dopo la distruzione della flotta cristiana a erba (20 maggio 1560) ed il riaffacciarsi del pericolo turco affidò nel 1562 all’architetto Francesco Laparelli da Cortona l’incarico di realizzare la cinta pentagonale di Castel Sant’Angelo, di proseguire i lavori di fortificazione rimasti interrotti nei pressi di porta Cavalleggeri e di costruire al di là del passetto di Borgo un nuovo muro di difesa che, da Castello arrivava fino allo spigolo del bastione sotto il Belvedere, all’altezza dell’odierna piazza Risorgimento, nel quale aprì la porta Castello l’Angelica.

L’antico muro di difesa costruito da Leone IV perse così ogni funzione militare. La nuova area inglobata nella città, che quasi raddoppiò quella del vecchio Borgo, si chiamò Civitas Pia, al nome del papa, che il 23 agosto 1565 emanò una bolla che garantiva (come avevano fatto i suoi predecessori) agevolazioni fiscali, la cittadinanza romana, l’esenzione della pena da scontare per debiti a coloro che avessero costruito nella nuova zona; questi benefici furono estesi anche alle “donne impudiche ed altre disoneste”, purché spendessero per costruire almeno 500 scudi, anche se provenienti dal loro mestiere.
 
Inoltre, per agevolare il passaggio dalla nuova all’antica città Leonina, furono aperti sette archi nel muro del passetto in corrispondenza dei quali si dipartivano altrettante strade che, incrociandosi con quelle di Borgo Pio (aperta da Pio IV), Borgo Vittorio (da Pio V) e Borgo Angelico (da Pio IV) creavano quella rete di strade che caratterizzano ancor oggi la topografia di questa parete del rione.

I lavori di costruzione delle nuove mura proseguirono poi sotto il pontificato di Pio V, che impiegò, come già il suo predecessore Leone IV, prigionieri musulmani catturati nella battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571).
Contemporaneamente all’ampliamento di Borgo, Pio IV aveva fatto demolire l’isola lunga e stretta di San Gregorio in Cortina per ingrandire la piazza antistante alla basilica di San Pietro. Di pari passo si sviluppava nel corso del ‘500 l’edilizia civile e quella religiosa con la costruzione del palazzo del Commendatore di Santo Spirito e la riedificazione della nuova Traspontina, poiché il vecchio edificio, troppo vicino a Castel Sant’Angelo, era stato fatto demolire da Pio IV.

La civitas Leonina e la Civitas Pia furono staccate da Ponte e divennero il XIV rione di Roma, con il nome di Borgo, al tempo di Sisto Vi, con disposizione pontificia del 9 dicembre 1586. Lo stemma: un leone in campo rosso con la zampa poggiante su tre monti, coronato da una stella a otto punte, inizialmente eretto su un forziere con il motto Vigilat sacri thesauri custos, riprende gli elementi araldici del papa (i monti e il leone), mentre il forziere allude al tesoro pontificio fatto custodire da Sisto V a Castel Sant’Angelo.

Il papa dette inoltre impulso determinante ai lavori per la costruzione di San Pietro (sotto il suo pontificato fu voltata in venti mesi da Giacomo della Porta e Domenico Fontana la cupola) e fece spostare nella piazza antistante alla basilica, con l’opera di Domenico Fontana, l’obelisco vaticano, a una distanza tale dalla facciata (260 metri) da far supporre che Sisto V avesse già pensato di prolungare la chiesa trasformandone la pianta dalla croce greca a quella latina e forse anche di demolire, come riporta un avviso di Roma del 4 luglio 1586, “ tutte le case che fanno isola per mezzo Borgo da Ponte fino alla piazza S. Pietro... acciò in arrivando allo sboccare di Castello si vegga questa bella prospettiva della guglia...”.
L’idea di realizzare una grande strada con in fondo un obelisco, operazione caratteristica del pontificato di Sisto V, in questo caso non fu realizzata per le ingenti spese che avrebbe comportato e per la morte del papa, ma il problema si ripresentò ai suoi successori. Intanto l’attività edilizia proseguiva.

Tra il 1580 ed il 1593 il cardinale Girolamo Rusticucci, seguendo l’esempio di tanti altri porporati, fece costruire da Domenico della Rovere e poi dal Maderno un vastissimo palazzo sulla piazza che da lui prese il nome, mentre più o meno negli stessi anni Martino Longhi il Vecchio rimodernò l’edificio che nei primi decenni del secolo aveva fatti edificare il cardinale Armellini (palazzo del cardinale Perdonato Cesi).

Alla fine del ‘500 Borgo fu devastato da due gravi calamità: una terribile epidemia nell’autunno del 1597 e l’alluvione del Tevere del dicembre dell’anno successivo, nel corso delle quali rifulse la caritatevole opera di san Camillo de Lellis in favore della popolazione del rione.

Nel 1611 Paolo V riportò in Borgo, nei palazzi vaticani e in Trastevere l’antica acqua Traiana, da lui chiamata Paola; con l’occasione fu rifatta la fontana monumentale a piazza Scossacavalli, il “mascherone di ponte” addossato alla testata della spina e altre minori, che contribuirono a migliorare notevolmente le condizioni di vita degli abitanti del rione.

Il papa decise inoltre il prolungamento della navata della basilica di San Pietro, realizzato dal Maderno, il quale imponeva anche un arretramento della piazza in direzione della spina per recuperare la visuale della cupola che era stata così in gran parte occultata. I vari progetti, da quelli di Papirio Bartoli del 1620 circa che proponeva una piazza quadrata chiusa da un triplice porticato con l’obelisco al centro, a quelli di Carlo Rainaldi (1651 ca.) sotto Innocenzo X e di monsignor Virgilio Spada (1651 consigliere dello stesso pontefice e del successore Alessandro VII), prevedevano la demolizione delle case comprese tra Borgo Vecchio e Borgo Nuovo. Lo Spada aveva anche fatto un preventivo di spesa per gli espropri, che risultando troppo elevato comportò il rinvio di ogni decisione in merito.

Nel 1657 la piazza antistante alla basilica ebbe la sua definitiva sistemazione con la costruzione dello spettacoloso colonnato di Gian Lorenzo Bernini  voluto da Alessandro VII, in forma ellittica, che, se per un verso si ispirava all’antica portica, dall’altro rispondeva ad una precisa esigenza di carattere utilitario riparando i fedeli dal sole e dalla pioggia, come ricorda l’epigrafe apposta all’interno della testata destra del colonnato. A chiusura della piazza (dove fu costruita una seconda fontana) l’architetto aveva pensato di erigere un terzo braccio porticato, che tuttavia non fu mai realizzato sia perché avrebbe per sempre limitato la visibilità della cupola, sia perché il pur ampio spazio avrebbe assunto un aspetto chiuso, opposto al concetto di abbraccio ai fedeli implicito nell’apertura delle due ali del colonnato. La piazza fu l’ultima grandiosa impresa edilizia in Borgo.

I lavori imposero, però, la demolizione dell’isola della Penitenzieria, o isola grande, comprendente il collegio dei Penitenzieri e il palazzo torre dei Cybo; l’isola dell’arcipretato, nella parte meridionale della piazza, con il palazzo del cardinale arciprete di San Pietro, la casa dei Capizucchi e quella di Giacomo Marchetti; quella “incirca S. Offizio”; l’isola di fronte al palazzo del Santo Uffizio; parte del palazzo Cesi (fu demolita la facciata); l’isola del Priorato dei Cavalieri di Malta comprendente la sede del Priorato di Roma con il palazzo Branconi dell’Aquila e infine l’isola di Santa Caterina delle Cavallerotte, cioè tutto il complesso di edifici che sorgevano nell’area destinata ad essere occupata dal colonnato o nelle immediate vicinanze.

Il problema della demolizione della spina fu nuovamente affrontato nel 1694 da Carlo Fontana, che proponeva l’arretramento del terzo braccio e del colonnato e quindi l’abbattimento dell’isolato fino all’altezza della piazza Scossacavalli, ma anche questa volta non fu possibile sostenere le enormi spese che la realizzazione del progetto avrebbe comportato.
L’idea venne accantonata fino al pontificato di Pio VI (1774-1779), allorchè nel 1776 l’architetto Cosimo Morelli propose nuovamente la demolizione della spina, ma rinunciava al terzo braccio del colonnato; il progetto fu ripreso dall’amministrazione francese nel 1811, dal Valadier nel 1812, il quale pensava di innalzare all’imbocco della nuova strada che si veniva a creare le due colonne di Traiano e di Marco Aurelio; ed ancora da Domenico Capranica nel 1850, dopo che l’unico tratto della spina demolito l’anno prima su piazza Pia e che aveva comportato la perdita della fontana del Mascherone, era stato ripristinato dal Poletti.

Il problema fu nuovamente riproposto quando Roma divenne capitale d’Italia, ma nel frattempo il rione aveva subìto altre trasformazioni di rilevante interesse sociale. Erano sorte, per iniziativa di Pio IX nuove case per i poveri a vicolo degli Ombrellari, due scuole gratuite a piazza Pia e per i maschi e a piazza delle Vaschette per le bambine ed una scuola notturna fuori porta Cavalleggeri, mentre l’ospedale di Santo Spirito, che con la istituzione nel 1815 della clinica medica era diventato un importante centro degli studi di medicina, fu restaurato ed ampliato con la costruzione di un’ala destinata ai malati di mente.

Negli anni difficili per la chiesa in cui si acuiva l’opposizione al potere temporale dei papi, contro Pio IX fu organizzato (1853) un attentato che avrebbe dovuto avere luogo nello stretto passaggio fra il colonnato e palazzo Alicorni; sventato per il ripensamento di un cospiratore; il 22 ottobre 1867 l’esplosione di una mina devastava la caserma Serristori, uccidendo 27 persone. I responsabili dell’accaduto: Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti furono condannati a morte.

Il 21 settembre 1870 la città Leonina fu occupata dalle truppe italiane, ed il 2 ottobre i cittadini chiesero, con un plebiscito, l’annessione all’Italia, mentre il Vaticano con la basilica di San Pietro, cioè la parte più importante e più bella del rione, con la legge delle guarentigie, veniva separato da Borgo e diventava zona extraterritoriale.

I piani regolatori che si occupavano della trasformazione della città per adeguarla al nuovo ruolo di capitale prevedevano inizialmente un rinnovamento edilizio di Borgo al margine settentrionale, ove per agevolare il collegamento con il nuovo rione di Prati, verso la fine dell’800 furono demolite porta Angelica e le mura di Pio IV fino a Castel Sant’Angelo, ed a quello meridionale, ove la costruzione dei muraglioni e del lungotevere determinarono la modifica di ponte Sant’Angelo e la manomissione dell’ospedale di Santo Spirito (nel 1895 fu iniziata la demolizione del manicomio).

Nel 1905, per favorire il traffico dei Borghi con il “quartiere del rinascimento” fu progettato ponte Vittorio Emanuele II che fu inaugurato nel 1911, ma la strada trasversale di collegamento fra il ponte e il rione Prati, prevista fin dal 1883 fu realizzata solo nel 1939, nell’ambito della più vasta trasformazione di Borgo conseguente alla demolizione della spina.

I patti lateranensi fra la Santa Sede e lo Stato Italiano firmati l’11 febbraio 1929 fra il cardinale Pietro Gasparri e Benito Mussolini, mentre risolvevano qualunque controversia tra l’Italia e la Chiesa stabilendo la creazione della Città del Vaticano come stato sovrano, preludevano alla definitiva soluzione del problema della spina, che, già affrontato nel piano regolatore del 1837, da Andrea Busiri Vici nel 1886 e da Armando Brasini nel 1916, e sempre inattuato, come del resto in passato, per le enormi spese ad esso legate, veniva definitivamente avviato a soluzione nel 1934.

L’anno successivo la Santa Sede e il Governo Italiano si accordarono per iniziare i lavori, che vennero affidati dal Governatore di Roma agli architetti Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli. Il 20 giugno 1936 i progetti furono approvati da Mussolini ed il 28 dello stesso mese da Pio XI. Il 29 ottobre Mussolini dette inizio ai lavori di demolizione della spina, che fu completamente abbattuta entro l’8 ottobre 1937.

La straordinaria impresa architettonica e urbanistica, preceduta da ampi e accurati studi, che comportò non solo l’abbattimento dell’isolato compreso fra Borgo Nuovo e Borgo Vecchio con tutti i palazzi e le chiese, alcuni dei quali furono ricostruiti ai margini della nuova strada, ma anche la realizzazione dei propilei su piazza Rusticucci al posto del previsto terzo braccio del colonnato, di via della Conciliazione, la sistemazione di tutte le fronti dei palazzi affacciantisi sulla strada, quello della testata d’accesso su piazza Pia; la demolizione e ricostruzione della chiesetta dell’Annunziata, la sistemazione di Castel Sant’Angelo con la restituzione del fossato esterno alla cinta di Pio IV e la creazione di un grande parco all’interno di esse per rendere ben visibile la mole, si protrasse fino all’anno santo del 1950, allorché grazie anche al contributo finanziario di Pio XII la ciclopica impresa dibattuta per circa 600 anni poté dirsi finalmente conclusa.

Al posto della spina una nuova, ampia strada d’accesso, via della Conciliazione, conduce da allora alla basilica vaticana, esaltando la visuale maestosa e solenne della cupola di San Pietro.

(Il testo di questo capitolo ricalca sostanzialmente quello contenuto nel primo volume della Guida rionale di Borgo: Rione XIV, Borgo, di Laura Gigli, Roma 1990, Fratelli Palombi editori).